lunedì 4 marzo 2013

DEI MIEI PROBLEMI CON LA PITTURA

Ho sempre avuto qualche problema con le arti figurative, e in particolar modo con la pittura.
Fin da piccola sono stata abituata dai miei genitori (grazie mamma e papà) a viaggiare e a visitare musei e mostre, in Italia e all'estero: invece di lasciarmi da qualche parte con i miei coetanei per risparmiarmi le attività "noiose" o "da grandi" i miei mi portavano sempre con loro tra chiese, piazze, statue e dipinti (che questa probabilmente sia l'origine della mia sociopatia è un altro discorso, ma si può dire che almeno sono cresciuta in quello che potrebbe essere definito un ambiente stimolante).
Quando ero bambina avevo gli stessi gusti dei miei genitori: mi piaceva Klee, perché avevamo in soggiorno una stampa di un suo quadro (per la precisione credo fosse "Due cammelli e un asino"). E poi Kandinskij, grande amore che però svanì quando tornando dalle vacanze estive, aprendo la porta di casa, trovammo la stampa a terra insieme al suo vetro, frantumato in mille pezzi. In camera dei miei c'è un quadro di Sonia Delaunay, "Voyages lointaines": non era un quadro astratto, ma comunque le forme non erano così espressamente figurative. Eppure io passavo il mio tempo la sera ad osservarlo, cercando di ricondurre il più piccolo tratto a qualcosa che conoscessi: bagnanti, un mango, onde del mare, turbanti, persone che leggono.
Della pittura mi piacevano i colori, che fossero quelli della sabbia del deserto o quelli sognanti dei pastelli, ma niente di più. Mi piacevano Mirò, le macchie di colore, i quadri astratti e gli impressionisti (anche in quel caso: il colore. Le ninfee di Monet erano le mie preferite).
Quando ero adolescente ricordo di essere andata a Lugano, sempre con le mie guide d'eccezione -genitori-, a vedere una mostra di Schiele, che mi folgorò prima di tutto per una questione estetica: mi piaceva il suo tratto, quei contorni neri che erano il suo marchio di fabbrica, i visi emaciati. E poi c'era un pezzo dei Marlene, "Schiele, lei e me", che ascoltavo spesso, e come sempre accadeva quando mi appassionavo a un gruppo, cercavo di scoprire tutto quello che lo riguardava e che gli ruotava intorno, tutti i riferimenti nelle canzoni, i luoghi e i nomi (comunque Updike non l'ho ancora letto).
Quando arrivai in università rimasi affascinata dall'estetica, e tra un testo e l'altro, tra Panofsky, Fiedler, e Wölfflin, iniziai ad interessarmi a un nuovo aspetto dell'arte, che mai avevo considerato: quello teorico. Qualcosa avevo già studiato a scuola, e avevo capito che il cubismo non era solamente uno stile, ma che in quanto movimento artistico aveva dietro di sé una vera e propria visione del mondo. E mi è stato a quel punto chiaro che l'arte implica una riflessione filosofica, teoretica.
Da lì ho amato molto di più la pittura astratta, ma più che interessarmi alle opere in sé volevo capire cosa le aveva generate, quale riflessione sul mondo e sulla pittura stessa contenevano, quale ribellione nei confronti delle funzioni dell'arte aveva dato vita alla creazione. Un interesse intellettuale, non artistico in senso stretto.
Contemporaneamente ha iniziato ad emergere il mio gusto personale (ovviamente influenzato da quello che ho visto da bambina e da ciò che tra atmosfere e colori mi ha sempre circondato). E quindi sì fiori e paesaggi, no scene di guerra o battaglie, no quadri storici, no Caravaggio, sì ritratti ma solo se atipici, sì cubismo e fauves, sì espressionisti e impressionisti, no surrealisti e Dalì.
Ed ecco il problema: la pittura mi è sempre piaciuta, ma solamente dal punto di vista estetico (bei colori, bei tratti) o da quello teorico (penso a Rothko, all'arte di Fontana, la metapittura di Magritte, gli studi di Klee sulla forma e sul colore): a volte un quadro esteticamente non nelle mie corde riesce a sorprendermi per il suo significato o il suo potere eversivo. Ma la pittura non è mai stata in grado di emozionarmi, e se l'ha fatto in qualche raro caso non è mai riuscita in questo compito con la facilità con cui invece mi ha colpito la musica. Perché una particolare forma di arte mi è meno congeniale di un'altra? Cos'è che mi rende impermeabile a un coinvolgimento forte di fronte a un dipinto e che invece mi fa sciogliere in lacrime con due sole note?

P.s.: nonostante questi dubbi e le mie difficoltà, l'altro giorno ho trovato online per caso questo quadro, di Childe Hassam (un impressionista americano che non conoscevo), e sono rimasta a bocca aperta. Il modo in cui è riuscito a rendere l'atmosfera della sera è incredibile. Sembra di sentire l'aria fresca, di vedere le luci della strada quasi liquefatte per il caldo che sale dall'asfalto, di poter percepire la foschia densa delle grandi città. Potrei quasi dire che mi ha emozionato.